“Armistizio” di Elena Mazzocchi, storie di adolescenti (e non solo) nella Roma contemporanea

“Armistizio” di Elena Mazzocchi, storie di adolescenti (e non solo) nella Roma contemporanea

L'autrice ci parla del suo romanzo di formazione in cui racconta una storia intensa che esplora i tormenti dell'adolescenza e il complesso passaggio verso l'età adulta ma anche le difficoltà dei genitori di venire a patti con la vita.
 
Da dove è nata la scelta di “Armistizio” come titolo per il suo romanzo?
“Armistizio” indica, nel linguaggio militare, il momento in cui la guerra cessa e si apre la possibilità di una pace fra i contendenti: nel mio romanzo c'è una guerra metaforica, quella fra i personaggi e la vita, con la quale alla fine dovranno venire a patti. Ma non sarà una pacificazione indolore.
 
Al centro del racconto c'è il tema della transizione dall'adolescenza all'età adulta che i giovani protagonisti del romanzo vivono in maniera diversa. C'è qualcosa che li accomuna in questo delicato passaggio?
I due personaggi principali, Carlo ed Elia, due amici diciassettenni, hanno in comune il fatto di essere dei ragazzi senza problemi, sulla carta: entrambi intelligenti, popolari, bravi a scuola. Carlo proviene da una famiglia borghese e benestante, attenta alle esigenze del figlio, e anche Elia, pur venendo da un ambiente più modesto, vive in un contesto relativamente sereno. Eppure, a un certo punto, uno dei due precipita in una crisi di cui non si capiranno mai a fondo le cause, come purtroppo accade spesso agli adolescenti oggi, e sarà molto difficile per lui uscirne.
 
Il libro esplora anche tematiche delicate e complesse come la depressione, l'abuso di droghe e il tema della morte in età giovanile. Quanto ha inciso il suo impegno nel campo no profit, soprattutto sul tema della salute mentale, sulla scelta di inserire questi temi nel romanzo?
Devo dire che i temi del romanzo sono nati più che dall'impegno nel mondo del no profit sul tema della salute mentale, dall'osservazione del mondo che ci sta intorno, a tutti noi adulti e in particolare ai genitori: credo che tutte le madri e padri di figli adolescenti si siano trovati in prima persona o con i figli di amici o di conoscenti a contatto con il disagio di questi ragazzi, certificato dalle statistiche quasi quotidiane sui giornali che indicano un aumento vertiginoso di tutti i disturbi mentali dei teenager, dall'anoressia, all'ansia, alla depressione.
 
Un altro argomento centrale del libro è relativo al ruolo dei genitori, a partire da quelli di Carlo, impegnati a tenere in piedi un matrimonio traballante mentre mostrano tutte le fragilità e le contraddizioni di una vita apparentemente perfetta. Cosa impedisce loro di innescare una dinamica familiare positiva?
Io ho molta comprensione per i genitori di Carlo: sono imperfetti, pensavano di aver fatto tutto il possibile per assicurare al figlio una vita senza scosse e si trovano a fronteggiare qualcosa che è più grande di loro, facendo anche degli errori. Chi fra i genitori oggi non è un po' come loro?
 
La madre di Carlo, in particolare, nel romanzo dimostra una grande difficoltà nell'accettare le fragilità del figlio. Come si sviluppa il rapporto tra i due personaggi?
All'inizio la madre non capisce il disagio di Carlo, lo vede sprofondare sempre di più in un malessere di cui non capisce le cause: ci sono stati, sì, dei momenti difficili per lui, come si racconta nel romanzo, ma niente che a lei sembri giustificare la sua sofferenza. Perciò la madre lotta, litiga col marito, con i professori e lo psicologo di Carlo per trovare una ragione plausibile, ma soprattutto per assolversi. Non può essere colpa sua, lei ha fatto tutto quello che una madre decente, anzi una buona madre, può fare per un figlio. Solo alla fine riuscirà, se non a capire, ad accettare la fragilità di Carlo.
 
Sullo sfondo c'è la Roma contemporanea, che diventa quasi una protagonista del romanzo con le sue innumerevoli sfaccettature passando dal centro alle periferie. Qual è il valore aggiunto di questa ambientazione alla storia raccontata in “Armistizio”?
Io amo moltissimo il romanzo “classico” che dà spazio alle descrizioni degli ambienti e del paesaggio, urbano o naturale: è un modo di far respirare la storia, i personaggi e il lettore con loro. Roma poi è davvero una fonte di continua ispirazione credo per tutti, romani, turisti, scrittori e non.
 
Nel suo romanzo la narrazione è condotta in maniera lineare con un linguaggio chiaro ma nello stesso tempo capace di dare un ritmo cinematografico al racconto. Come è riuscita ad ottenere questo risultato?
Vi ringrazio per il complimento, innanzitutto. La chiarezza per me è essenziale, non mi diverte giocare a nascondino con il lettore, infliggendogli uno stile contorto o peggio trame sconclusionate. Per quanto riguarda il ritmo cinematografico, in realtà non era un effetto voluto, temo che c'entri la mia professione, dato che dirigo una rivista che si occupa di cinema...
 
Perché ha deciso di concludere il romanzo con una sorta di finale aperto?
Nel lungo lavoro di scrittura e riscrittura il finale è arrivato abbastanza presto: e appena arrivato, non l'ho più cambiato, caso praticamente unico in tutto il romanzo che appunto ho rivisto tante volte, ce n'è voluto prima di arrivare ogni volta al giro di frase più appropriato... Ma, riguardo al finale, ho sentito fin da subito che quella era la conclusione giusta, perché, tornando di colpo indietro nella narrazione, riapre i giochi.
 
 
Contatti
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